500.000€ PER UN ETTARO DI VIGNETO, MA IN TRENTINO! Sparisce e si trasforma l’agricoltura ginosina, colloquio con Antonio Giordano

Articolo apparso sul Quotidiano di Domenica 28 Agosto 2011
Dott. Antonio Giordano - Girifalco s.a.s.











di Nicola NATALE*
Un omicidio si sta consumando in silenzio. E’ quello dell’agricoltura jonica assieme alle prospettive di molte famiglie ginosine. E’ incredibile la perdita di reddito registratasi in questi anni se comparata con l’aumento di tutte le altre voci di spesa, incluse quelle alimentari. Per tentare di capirne le ragioni ma anche per rompere l’indifferenza e la rassegnazione che copre una uscita così ingloriosa da un settore produttivo decisivo abbiamo intervistato Antonio Giordano, da anni titolare della Girifalco, impresa leader nella distribuzione di fitofarmaci. Un osservatorio speciale, che consente di capire quanto sta accadendo alle campagne ginosine, il cui progressivo abbandono sta trasformando non solo la economia ma anche il paesaggio.
Dott. Giordano cosa sta succedendo all’agricoltura ginosina?
Innanzitutto per l’uva da vino c’è stato un contributo all’espianto di circa 12.000€ per ettaro. Le quote di uva da vino sono arrivate a costare anche 15.000-20.000€, tre anni fa. Chi ha fatto lievitare queste quote sono state le grosse imprese trasformatrici del Nord, tipo Tormaresca, Zonin. A livello nazionale la diminuzione di superfici vitate è stata del 5,6% ma nella nostra zona, nel Tarantino la percentuale sale al 30-40%. Il reddito è diventato quasi nullo, 15-20 centesimi al kg, non consentono nessuna remunerazione. Stessa cosa per l’uva da tavola, per cui c’è la corsa all’abbandono, con l’aggravante che non ci sono nemmeno soldi per pulire dall’impianti i terreni. Mancano cioè anche i circa 2.000€/ha necessari all’espianto per poter dedicare ad altro uso il terreno. L’imprenditore agricolo inoltre è stato preso di mira da Equitalia e dall’INPS, giustamente secondo alcuni, ma in un momento in cui non c’è assolutamente liquidità e con metodi discutibili. Le Banche inoltre  hanno ritirato le loro linee di credito. Per cui penso che nel Tarantino circa 7.000 ettari di uva da tavola sono stati abbandonati. Il 20-30% dei tendoni abbandonati non sono stati espiantati aumentando i problemi di tignola e peronospora  per i vigneti ancora in produzione. Senza parlare dei danni all’immagine ed al paesaggio.
Con cosa potremmo sostituire l’uva?
L’assenza di una coltura che sia riferimento per un reddito anche minimo è il principale problema. E’ il caso delle angurie di quest’anno, andate al macero senza essere raccolte. E’ un fatto sociale, che impegna direttamente la politica.
Si, ma siamo in una economia di mercato…..
Certo. Anni fa noi eravamo la California del Sud, producevamo di tutto e con ottimi risultati, i terreni ed il clima sono ancora oggi straordinari. La grande distribuzione ha in mano le chiavi del problema perché è quella che impone i prezzi ed anche le caratteristiche del prodotto. Arrivando a chiedere ad esempio che non sia presente più del 30% di residuo di fitofarmaci rispetto al tetto di Legge o ad ammettere solo 4 o 5 principi attivi tra le centinaia ormai presenti sul mercato antiparassitario. Le nostre tante grandi imprese di commercializzazione sono impotenti di fronte a questi comportamenti. Aggiungo che la grande distribuzione non ha valorizzato l’ortofrutta come invece facevano i mercati generali. Ora in un banco che è self service, si può trovare una uva da tavola stupenda come è accaduto a me a Brescia, tagliata a metà perché troppo pesante. O ancora soggette a contestazioni al momento dell’arrivo e non già in partenza, prima di essere tagliata. Ancora la grande distribuzione fa un discorso di rendimento per mq occupato ma l’ortofrutta non è prosciutto o formaggio. Insomma ritorniamo al problema del valore del nostro prodotto. Va detto anche che l’allungamento della filiera, la poca attenzione nel tenere prodotto fresco sui banchi, aumenta la concentrazione di nitrati e nitriti dannosa per la salute.
Cosa si può fare?
Qualcuno tenta con la forza della disperazione nuovi impianti viticoli, sperando nella riduzione drastica di superfici che genererà un recupero di domanda. Le nuove varietà, come quelle apirene, sono soggette a troppi vincoli, è un problema la cui soluzione spetta alla politica. Aggiungo che in Trentino un ettaro destinato ad uva da vino può arrivare a 4-500.000€, i nostri terreni hanno molta più resa e minori problemi climatici. Qui non arriviamo a 30.000€. Ci vuole organizzazione, coerenza ed unione degli agricoltori. Ma soprattutto investimenti, le zone del Chianti non nascono per caso, sono frutto di una logica. Che dovremmo forse adottare o ribaltare. In fondo un vigneto del Nord ha bisogno del doppio dei trattamenti di un vigneto del Sud.

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