CHE SUD CHE FA. Lezioni da Bari.

BARI - Buonanotte Mezzogiorno (?) Società, Economia, Welfare nel Sud in transizione.
Da dx Daniele Petrosino, Lino Patruno, Onofrio Romano, Ennio Triggiani.

di Nicola NATALE

Bisogna andare a Bari talvolta per un approccio qualificato alle questioni che ci attanagliano.
Una in particolare, il Sud ed il suo divario (crescente) dal resto dell’Italia. Sud che abitiamo, sud che amiamo. 
Dal Sud scappano in molti, anche dai convegni visto che della questione meridionale se ne parla dai tempi di Gaetano Salvemini (Molfetta 1873-Sorrento 1957).
Vi partecipavano tra gli altri due sociologi, Daniele Petrosino e Onofrio Romano, autori di una ricerca condensata nel libro edito da Carocci “Buonanotte Mezzogiorno – Economia, immaginario e classi dirigenti nel Sud della crisi”.
Ammazza che allegria” penserà giustamente qualcuno. Come confermato del resto dall’assistente sociale che avevo a fianco: “ora sì che ci hanno fatto venire la depressione”.
In una battuta ho cercato di dirle che non occuparsi del problema equivale al processo psicologico della rimozione. 
E’ proprio questa ritrosia a occuparsi di problemi apparentemente insolubili ad aver fatto scomparire la questione meridionale dall’agenda dei Governi e ad aver alimentato “un’inesistente questione settentrionale” come sottolineato dall’ass. reg. Loredana Capone. 
L’introduzione è stata affidata al direttore della Gazzetta del Mezzogiorno Lino Patruno che da tempo conduce, su quelle colonne e con i suoi libri, una vigorosa campagna contro le più comuni mistificazioni ai danni del Sud Italia. 
Prima tra tutte il dato assolutamente falso che al Sud la spesa pubblica sia maggiore per i servizi pubblici, quando invece è nettamente inferiore. Ecco un dato tra i tanti forniti: “la spesa sociale media oscilla dai 780 € di Bolzano ai 77 € di Vibo Valentia”.
Il tutto giustificato da criteri che, specie per riguarda i finanziamenti ai trasporti pubblici, riproducono ed ampliano il divario: “la spesa pubblica nazionale è agganciata al numero di occupati nell’area
Daniele Petrosino
Professore Uniba
Per Daniele Petrosino sono tanti i fattori che hanno determinato il fallimento del “localismo virtuoso”. Cioè del finanziamento delle realtà imprenditoriali o sociali migliori, fiduciosi che questo in sé bastasse a superare il divario. 
Le ragioni per Petrosino stanno altrove: “a partire dal modo in cui è stata gestita la moneta unica, nella crisi del rapporto tra Europa e Mediterraneo ed in scelte geopolitiche che hanno fatto bene alla Germania ed ai paesi dell’Est”. 
Il prof. Petrosino, docente Uniba, rovescia anche il tradizionale paradigma che affibbia alle classi dirigenti le responsabilità del mancato decollo: “la classe dirigente non è causa, ma risultato del problema”. 
Un problema che si condensa soprattutto in un prodotto interno lordo che dal 1998 al al 2014 è circa il 50%-60% di quello del Nord Italia: siamo più poveri, anche se (finora e mediamente) più accoglienti. 
Ci troviamo poi in una "crisi d’identità che è nazionale e al contempo non riusciamo ad immaginare un’idea di sviluppo meridionale”.
Circostanza probabilmente indotta “da un grande processo di deindustrializzazione, cui non è seguito un salto di qualità”. 
Le aziende meridionali” ha concluso secco il sociologo “non chiedono laureati perché non ne hanno bisogno, sono industrie arretrate”. 
Salvatore Negro,
assessore al welfare della Regione Puglia
Al quadro emerso dalla ricerca condotta con metodi sociologici internazionalmente accettati si è aggiunto il dato fornito dall’ass. reg. al welfare Salvatore Negro: “il Governo progetta tagli del 75% per il welfare, spero che il Parlamento corregga questa decisione escludendo la spesa sociale dal patto di stabilità”. 
La sua proposta è di “incrementare il fondo sociale delle Regioni perché già i fondi a rischio non erano sufficienti a coprire i bisogni emergenti”. 
Onofrio Romano
Professore Uniba
Viene poi il turno di Onofrio Romano, professore anch’esso ad Uniba: “ciò che manca è un orizzonte di senso oltre che una mancanza di visione per il futuro”. 
Tuttavia avverte il sociologo “sottolineare ogni volta le colpe della classe dirigente è cercare un capro espiatorio”. 
Non negarle dunque, ma capire che non sono gli individui che possono da soli risollevare le sorti del Meridione d’Italia. 
Pur ammettendo la matrice di base dalla quale si origina questo pensiero: “la sociologia nasce in contrapposizione alla psicologia che concentra nell'individuo le ragioni di tutto, ma anche ai postulati della scienza economica come il laissez faire, laissez passer”. 
Citatissimi nel suo intervento Emile Durkheim e Max Weber
La ricerca dei due sociologi Uniba ha evidenziato tre filoni con cui si guarda all’economia (mercatismo, pubblicismo e comunitarismo) ma anche messo a nudo le contraddizioni interne che bloccano la classe dirigente. 
Una gran parte del campione di classe dirigente intervistato ritiene che non ci sia alternativa al mercatismo, anche se sa che non darà i risultati sperati, cioè minori diseguaglianze. 
Siamo prigionieri di “una visione incoerente e debole, perché credere al mercato e pensare che dia disuguaglianza ci restituisce un soggetto bloccato”. 
Il localismo virtuoso si è rivelato fallimentare” incalza Romano “poiché il divario non si è riassorbito e il Sud sta peggio di prima”.
Non sappiamo quindi cosa fare per il futuro, prevale, secondo il sociologo un “localismo riflessivo, ma se non c’è diversità di visione la società muore”. 
Una diversità necessaria alla società come la biodiversità in natura.
Ma allora tutto dipende dall’alto e dall’altrove? 
C’è una parte che vorrebbe un’entità politica centrale che controlli e solleciti gli attori locali, ma qui siamo alla tenaglia di Patruno perché se la visione è debole, gli attori non sono motivati”.  
A differenza della caduta del paradigma dello sviluppo dall’alto a partire dal 1970 e all’entusiasmo per uno sviluppo non eterodiretto che si era generato, non si vede oggi l’entusiasmo per un altro modello”.
Anche perché - è il caso di aggiungere - il modello proposto è lo stesso di allora in un mondo completamente cambiato, con nuovi forti concorrenti e mercati sempre più difficili.
Per Romano però “la crisi dell’immaginario è più grave di quella reale”. 
Il Sud quindi aspetta un Godot che non arriverà mai, aspetta una soluzione che non arriverà nemmeno da quelli che dicono di starci lavorando.
Come conferma uno degli ultimi interventi del convegno che ha spostato in alto (e sul piano concreto) l’asticella del confronto rispetto ai dibattiti televisivi.
Uno degli ultimi interventi è proprio quello di Loredana Capone e non dà scampo: “lo sviluppo 4.0 esclude lavoratori dal ciclo produttivo 
 Loredana Capone, 
assessore allo sviluppo della Regione Puglia
Cosa far fare a queste persone liberate dal lavoro, ma anche dal reddito?
E’ il grande interrogativo, non solo meridionale, ma riferito a tutte le aree a forte disoccupazione, inoccupazione e precarietà. 
Capone, assessore con Emiliano ora e con Vendola prima, non risponde direttamente alle critiche circa la mancanza di visione e all’applicazione di politiche di fatto dettate dall’Unione Europea. 
Per l’assessore “ci vogliono nuovi corsi mentre le richieste delle aziende vanno soprattutto a diplomati in possesso di specializzazioni”. 
Non produce lo scalpore che meriterebbe il suo esempio di come cambia la produzione e quindi anche il lavoro moderno in Puglia.
Ci sono agroindustrie che abbiamo finanziato per l’ammodernamento tecnologico che hanno al proprio interno soprattutto ingegneri”. 
La linea produttiva di una noto pastificio è completamente automatizzata: “chi metteva i pacchi di pasta nelle scatole è fuori dal ciclo produttivo”. 
Praticamente i finanziamenti dell’Unione Europea che spingono ad una maggiore competitività per aggredire i mercati internazionali, finanziano l’espulsione dal ciclo produttivo di un numero crescente di persone 
Persone che spesso non riescono a riqualificarsi.
Qual è la visione sciorinata dalla Capone?
Lo sviluppo tecnologico inserito in un contesto internazionale, che guardi alla comunità, impensabile voler produrre con vecchi metodi o ancorarsi a vecchi prodotti non più richiesti dal mercato”. 
Tuttavia anche con questa visione politica “le imprese non sono sempre disponibili a finanziare la ricerca, l’unica via per continuare a stare sui mercati”. 
I finanziamenti del passato, esempio tipico la legge 488, sono invece serviti alla Puglia per decretarne la minorità e asservirla a cicli economici che hanno spostato altrove i veri redditi. 
Chi è rimasto a produrre al Sud, lo faceva per fornire a basso costo lavorazioni in conto terzi, mentre la delocalizzazione degli stabilimenti in seguito è stata considerata come internazionalizzazione”.  
Tutt’altra cosa che conquistare o affacciarsi a nuovi mercati. 
Per questo la via scelta dalla regione Puglia secondo la Capone è stata “la collaborazione non facile tra aziende ed Università, la ricerca per non licenziare, per non considerare la cassa integrazione come l’unica leva per tenere tutti zitti e alla fine considerare i giovani come soggetti disagiati per consentire loro di accedere ai finanziamenti regionali”. 
Un convegno ed un libro non risolvono certo i problemi dell’economia, ma l’ambizione era di capire i perché dello stallo.
Ci accaniamo sulla competizione" chiosa il prof. Romano ma è surreale perché siamo in una crisi di saturazione dell’economia, anche perché se l’innovazione è fine a se stessa non serve a nulla”. 
Robot possono produrre robot che assemblano oggetti perfetti, ma chi li compra e perché?
Siamo in presenza” ha concluso Romano “di una continua corsa per l’innovazione che non libera mai il tempo, mentre siamo giunti ad uno stato di sviluppo che richiede altri sistemi regolativi istituzionali”.
Intanto il tempo passa.....



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