MIROGLIO E TBM. DEFINITIVO TRAMONTO DEL TESSILE INDUSTRIALE NEL TARANTINO?
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GINOSA - Gli operai della Miroglio sono saliti anche sul tetto per protestare contro la chiusura della fabbrica |
di Nicola NATALE
Settembre è alle
porte. Il pensiero è fisso alla ripresa lavorativa ed agli esiti delle tante
vertenze che interessano il lato ovest della provincia di Taranto.
Una su tutte
la miroglio, conclusasi agli inizi d’agosto con un clamoroso rallentamento al
progetto q.bell, vale a dire l’assemblaggio di televisori di nuova generazione
nello stabilimento di contrada girifalco.
Appesi a questa vicenda i destini di
circa 190 lavoratori, ormai ex miroglini, artefici assieme al gruppo piemontese,
della breve esperienza nel settore tessile industriale di Ginosa.
Il 3 e 4
settembre sono previsti due incontri, uno a Bari presso l’assessorato al lavoro
alle 15:30 e l’altro a Roma alle 17 presso il ministero dello sviluppo per far
il punto sulle operazioni di finanziamento del gruppo di Remanzacco.
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Al-Walid bin Talal (ph ap/francois mori) |
Il tutto
sarebbe legato alle trattative con il gruppo libanese Lbc controllato
dall’emiro saudita Al-Walid bin Talal.
Un’operazione di equity di circa 11
milioni che prevede la sottoscrizione di azioni di nuova emissione da parte del
gruppo Q.bell facendo entrare di fatto la finanza internazionale nel
salvataggio dei “miroglini”.
Un triangolo Italia, Cina, Arabia Saudita difficile da immaginare per chiunque fino agli ultimi sviluppi.
Grande curiosità
e speranza ha suscitato l’opzione termoform a Castellaneta, dove aveva sede la
filatura pugliese del gruppo, la prima ad essere chiusa.
Qui si tratta di stampaggio plastico per un investimento previsto di 2,5 milioni di euro da parte dell’azienda umbra con sede a Taverne di Corciano, nel perugino.
Altro fronte caldo quello della vicina tbm, azienda tessile di Besnate nel varesotto che sempre in contrada girifalco impiantò un altro stabilimento dando lavoro a circa una settantina di addetti ora diventati 67.
Una trattativa è in corso fra azienda, sindacati ed istituzioni per impedire i tagli annunciati al personale, magari con il ricorso a contratti di solidarietà come vorrebbe la fillea cgil.
I dipendenti sono in attesa anche qui della convocazione presso la task force regionale per conoscere sia le intenzioni dell’azienda che sembrano orientate ad un drastico taglio del personale, sia le soluzioni che verranno loro proposte.
Questo lo scenario che rimane del polo tessile ginosino dopo gli ingenti sovvenzionamenti ottenuti con vari strumenti, primo tra tutti i fondi legati alla reindustrializzazione delle aree di crisi siderurgica.
Una diversificazione all’industria leggera che non ha retto i colpi della liberalizzazione conseguente all’accordo multi fibre.
Dopo di allora non solo i tessuti vengono prodotti tutti in paesi a basso costo del lavoro, ma anche i capi stessi.
Un triangolo Italia, Cina, Arabia Saudita difficile da immaginare per chiunque fino agli ultimi sviluppi.
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Francesco Cavallucci, direttore finanziario della Termoform con il sindaco di Castellaneta Giovanni Gugliotti |
Qui si tratta di stampaggio plastico per un investimento previsto di 2,5 milioni di euro da parte dell’azienda umbra con sede a Taverne di Corciano, nel perugino.
Altro fronte caldo quello della vicina tbm, azienda tessile di Besnate nel varesotto che sempre in contrada girifalco impiantò un altro stabilimento dando lavoro a circa una settantina di addetti ora diventati 67.
Una trattativa è in corso fra azienda, sindacati ed istituzioni per impedire i tagli annunciati al personale, magari con il ricorso a contratti di solidarietà come vorrebbe la fillea cgil.
I dipendenti sono in attesa anche qui della convocazione presso la task force regionale per conoscere sia le intenzioni dell’azienda che sembrano orientate ad un drastico taglio del personale, sia le soluzioni che verranno loro proposte.
Questo lo scenario che rimane del polo tessile ginosino dopo gli ingenti sovvenzionamenti ottenuti con vari strumenti, primo tra tutti i fondi legati alla reindustrializzazione delle aree di crisi siderurgica.
Una diversificazione all’industria leggera che non ha retto i colpi della liberalizzazione conseguente all’accordo multi fibre.
Dopo di allora non solo i tessuti vengono prodotti tutti in paesi a basso costo del lavoro, ma anche i capi stessi.
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