MIROGLIO, L'ILLUSIONE DELLA INDUSTRIALIZZAZIONE. OLTRE DUECENTO A RISCHIO MOBILITA’.
QUOTIDIANO DI PUGLIA 4 GENNAIO 2012
di Nicola NATALE
Fernando Sogaro della Wollo, la società incaricata dal Gruppo Miroglio che finora ha tentato la rioccupazione dei 220 |
220 persone
attaccate ad un filo. Battuta logora per gli operai tessili della Filatura e
Tessitura di Puglia srl di Ginosa, oramai ad un passo dalla mobilità, che
scadrà in Aprile. In attesa da quattro anni di una reindustrializzazione che
non arriva mai.
L’immenso opificio che fungeva da tessitura e da magazzino filo
giace come una balena addormentata nelle campagne di Ginosa: nel 1995 una legge
regionale consentì di far nascere in zona agricola, un impianto industriale
perfettamente efficiente in nome dell’occupazione. Un altro sorse a
Castellaneta, destinato alla sola filatura.
I sindacati confederali, pur tra
mille sollecitazioni degli operai, non hanno mai mollato la speranza di una
ripresa, ancora oggi alcuni di loro la giudicano possibile. Pur nel quadro
decisamente non promettente dei vari accordi internazionali multi fibre.
Certo,
la partenza dei telai ad aria e pinza dalla fabbrica fu una specie di funerale
della breve stagione industriale ginosina e castellanetana. La piemontese
Miroglio, che per qualche tempo
assunse fino a 350 persone, poi ha tolto anche i neon dai vecchi reparti, oltre a smontare e smaltire le macchine come rifiuti.
Le polemiche furono sostenute
fin dall’inizio: perché non destinare agli imprenditori locali i fondi della
legge 181 del 1989? Semplice, nessuna aveva – ed ha – il know-how del Gruppo
piemontese.
Ma tutte le accuse sono state sempre rimandate al mittente dal
management dell’azienda tessile: abbiamo restituito in tasse e stipendi molto
di più di quel che abbiamo preso (una quarantina di miliardi di lire a fondo
perduto e 56 a tasso agevolato), abbiamo onorato gli impegni e impegnato la
Wollo, una società specializzata, per tentare un reimpiego di lavoratori e
stabilimento.
Nei quasi quattro anni di lotta per il lavoro i “miroglini” le hanno tentate tutte:
continui incontri al Ministero dello Sviluppo, coinvolgimento di ogni livello
politico, salite sul tetto dello stabilimento, proteste civili ed organizzate
presso il quartier generale di Alba, informazioni ai clienti degli
innumerevoli punti vendita
italiani della delocalizzazione selvaggia del gruppo.
Niente da fare nemmeno
con i progetti di Intini, di Marcolana e Barbero solo per citare i più
accreditati al Ministero dello Sviluppo.
E’ difficile credere che a partire dal
1996, per 12 anni, si siano realizzati record mondiali di tessitura negli
stabilimenti di contrada Girifalco, eppure è stato così.
Sembrò che per una volta gli effetti della legge per la
reindustrializzazione delle aree di crisi siderurgica e quei finanziamenti
furono presi al volo dal Gruppo piemontese Miroglio di Alba (Cuneo) fossero finalmente la scelta giusta, e che comunque ha funzionato per 12 anni, oltre alle cig in deroga in corso. Ma la gestione di un grande gruppo, non ha un'ottica di sviluppo locale. Del resto Franco Miroglio, senatore leghista e proprietario assieme al fratello Carlo, non è che almeno stando alle posizioni politiche stravedesse per il sud. ora l’azienda è passata alla seconda generazione imboccando con più decisione
la strada della delocalizzazione all’estero e la concentrazione nel settore
fashion. Un colosso da oltre un miliardo di euro di fatturato nel 2011 che però
non sa più che farsene di tanti che hanno dato anima e corpo ad uno
stabilimento che fu definito dallo stesso Franco Miroglio “job intensive”.
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