MIROGLIO, GINOSA: OLTRE DUECENTO A RISCHIO MOBILITA’. IL FILO SOTTILE DELLA INDUSTRIA GINOSINA

MIROGLIO - I telai Picanol del reparto ad aria della Tessitura di Ginosa

QUOTIDIANO DI PUGLIA 4 GENNAIO 2013
di Nicola NATALE
220 persone attaccate ad un filo. Battuta logora per gli operai tessili della Filatura e Tessitura di Puglia spa di Ginosa, oramai ad un passo dalla mobilità, che scadrà in Aprile. 
In attesa da quattro anni di una reindustrializzazione che non arriva mai. 
L’immenso opificio che fungeva da tessitura e da magazzino filo giace come una balena addormentata nelle campagne di Ginosa: nel 1995 una legge regionale consentì di far nascere in zona agricola, un impianto industriale perfettamente efficiente in nome dell’occupazione. Un altro sorse a Castellaneta, destinato alla sola filatura. 
I sindacati confederali, pur tra mille sollecitazioni degli operai, non hanno mai mollato la speranza di una ripresa, ancora oggi alcuni di loro la giudicano possibile. Pur nel quadro decisamente non promettente dei vari accordi internazionali multi fibre. 
Certo, la partenza dei telai ad aria e pinza dalla fabbrica fu una specie di funerale della breve stagione industriale ginosina e castellanetana. 
La piemontese Miroglio che  per qualche tempo assunse  fino a 350 persone ha venduto anche i i torcitoi - oltre ai telai - riducendoli a rifiuti speciali. 
Le polemiche furono sostenute fin dall’inizio: perché non destinare agli imprenditori locali i fondi della legge 181 del 1989? 
D'altronde nessuna aveva – ed ha – il know-how del Gruppo piemontese. 
Tutte le accuse sono state sempre rimandate al mittente dal management dell’azienda tessile: abbiamo restituito in tasse e stipendi molto di più di quel che abbiamo preso (una quarantina di miliardi di lire a fondo perduto e 56 a tasso agevolato), abbiamo onorato gli impegni e impegnato la Wollo, una società specializzata, per tentare un reimpiego di lavoratori e stabilimento. 
Nei quasi quattro anni di lotta per il lavoro i  “miroglini” le hanno tentate tutte: continui incontri al Ministero dello Sviluppo, coinvolgimento di ogni livello politico, salite sul tetto dello stabilimento, proteste civili ed organizzate presso il quartier generale di Alba, informazioni ai clienti degli innumerevoli  punti vendita italiani della delocalizzazione selvaggia del gruppo. Niente da fare nemmeno con i progetti di Intini, di Marcolana e Barbero solo per citare i più accreditati al Ministero dello Sviluppo. 
E’ difficile credere che a partire dal 1996, per 12 anni, si siano realizzati record mondiali di tessitura negli stabilimenti di contrada Girifalco. 
Erano gli effetti della legge per la reindustrializzazione delle aree di crisi siderurgica e quei finanziamenti furono presi al volo dal Gruppo piemontese Miroglio di Alba (Cuneo). Proprietario assieme al fratello Carlo, Franco Miroglio, un senatore leghista, ora l’azienda è passata alla terza generazione imboccando con più decisione la strada della delocalizzazione all’estero e la concentrazione nel settore fashion. 
Un colosso da oltre un miliardo di euro di fatturato nel 2011 che però non sa più che farsene di tanti che hanno dato anima e corpo ad uno stabilimento che fu definito dallo stesso Franco Miroglio “job intensive”.

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