BENEDETTA CRISI. Intervista ad Emilio COSTANTINO
dall'articolo apparso sul Quotidiano del 1° Novembre 2011 riproduzione riservata
di Nicola NATALE
Emilio Costantino, fondatore della Venus Bridal |
Quando la globalizzazione era una parola
per pochi a Ginosa c’era già un’azienda locale che l’aveva avviata. Era
l’azienda di Emilio Costantino specializzata in abiti da sposa. Un business nato
dalle capacità imprenditoriali della madre ma che l’imprenditore aveva già in
mente di espandere altrove. Costantino nato a Ginosa il 28 Giugno del 1953 e
con formazione all’ITIS Righi di Taranto nel ‘72 e poi alla Harvard University,
Massachussets nel 1978 ci ha dato alcune risposte sorprendenti sull’economia
locale e sulla sua impresa.
Dov’è ora la sua impresa?
E’ in almeno 20
Paesi, per non dire in tutto il mondo. Abbiamo da sempre inseguito un ottimo
rapporto qualità prezzo e una politica commerciale basata sull’esclusiva di
modello ai nostri rivenditori sparsi in tutto il globo. I rivenditori vendono
il nostro prodotto senza difficoltà e con ottimi margini per questo anche in
momenti di crisi noi siamo cresciuti. Molte volte dico benedetta crisi.
Vuole ripetere?
La crisi è come
la peste, fa una grossa pulizia e chi rimane è una persona forte che non viene
attaccato dalla peste e sopravvive. Non sarei qui se fossi rimasto ancorato al
vecchio schema produttivo.
Dove siete ora e dove state andando?
Abbiamo
strutture produttive nei tre Paesi emergenti, Brasile India e Cina (Bric) e
stiamo aggiungendo l’Argentina. Tutto quello che produciamo, indirettamente o
indirettamente, abbisogna però di un continuo processo creativo. Per questo
acquistiamo idee, per questo cerchiamo designer, coinvolgendoli con percentuali
sulla vendita di modelli validi. Abbiamo la direzione artistica di Joanna Wu ed
un numero considerevole di disegnatori, modelliste e sarte. Cambiamo
continuamente materiali, modelli, forme. Chi ha la capacità di creare, riesce a
capire come sarà il prodotto finale ed a realizzarlo industrialmente. Sono
imprenditori di loro stessi, per questo sono sicuro che il loro impegno è
massimo.
La sua azienda, la Venus Bridal, ha il
cuore pulsante qui. Le è mai venuta voglia di prendere baracca e burattini ed andarsene altrove?
Spesso sì, per
la burocrazia e le istituzioni locali. Potrei pensare alla zona franca di
Taranto nell’hub retrostante il porto, ma allora ci sono altre zone franche più
vicine all’Europa. Non devo spostarmi dove dicono i politici, ma dove è più
conveniente per l’azienda. Attualmente ho chiesto l’espansione del mio
laboratorio prototipi in Ginosa. Ora stanno facendo la valutazione di impatto
ambientale. Ma se il capannone già esiste come può variare l’impatto
ambientale?
Beh…. evidentemente maggiora l’impatto
visivo.
Allora perché
fare una legge che consente gli ampliamenti? Bisogna decidersi. Quando sono
arrivato c’era un vecchissimo PDF che classificava la zona come area
artigianale, per insediamenti produttivi. Poi altri politici hanno cancellato
la classificazione e l’hanno fatto diventare terreno agricolo. Io ho rispettato
quello che le Istituzioni indicavano. Ditemi ora se devo prendermi il capannone
sotto braccio e dove devo portarlo, lo faccio, se me ne date gli strumenti.
Alcuni prototipi all'interno dello stabilimento ginosino |
Qui non c’è
produzione, c’è la creazione dei prototipi. La ricezione della merce
dall’estero dove produciamo e lo smistamento in determinate aree avviene
attraverso gli hub, 10 centri di distribuzione sparsi nel mondo che
riforniscono delle macroaree. Ad
esempio l’Italia per l’Unione Europea, uno per gli USA, uno per il Canada, uno
per l’Australia, uno per la nuova Zelanda, uno per la Cina. Produciamo in Cina
e vendiamo in Cina, ma nell’hub non arrivano solo abiti di produzione
cinese. Tutto quanto però viene
concepito in Italia. L’Italia è il cuore pulsante ed il cervello di quanto
avviene nel mondo con i nostri marchi. Il nostro prodotto viene spesso
identificato come italiano. A livello mondiale fatturiamo circa 500 milioni di
dollari.
Si rimprovera qualcosa?
In India quando
arrivi il Governo ti chiede se utilizzerai manodopera minorile. No, dissi
spontaneamente. Poi mi sono pentito col tempo, ma non perché avrei guadagnato
di più. Ho condannato quei bambini a morte perché i genitori non possono dargli
da mangiare, vivono solo se lavorano.
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